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Locandina

Una videochat fra due amiche cinquantenni, Fiamma e Lorella, che non si vedono da tempo. I saluti di rito, qualche chiacchiera, finché Lorella annuncia a sorpresa: mi sono sposata! La cosa sarebbe già straordinaria di per sé, vista la sua proverbiale sfortuna con gli uomini. Ma diventa ancora più incredibile quando lei rivela che il nuovo marito ha… non proprio un difetto, una particolarità: è invisibile. Fiamma teme che l’isolamento abbia prodotto danni irreparabili nella mente dell’amica. Si propone di aiutarla, ma non ha fatto i conti con la sconcertante attrazione di noi tutti per l’invisibilità.

Edoardo Erba scrive e dirige un’esilarante commedia sulla scomparsa della vita di relazione. Maria Amelia Monti e Marina Massironi, con la loro personalissima comicità, sono le protagoniste di uno spettacolo scottante e attuale.

durata: 1h 15’

 

Maria Amelia Monti, Marina Massironi

IL MARITO INVISIBILE

scritto e diretto da Edoardo Erba
scene Luigi Ferrigno
musiche Massimiliano Gagliardi
costumi Nunzia Russo
luci Giuseppe D’Alterio
video Davide Di Nardo, Leonardo Erba
produzione Gli Ipocriti Melina Balsamo

 

“Nessun essere umano che sia nato dopo il 1970 trova particolarmente inquietante o in qualche modo negativa la tendenza alla promiscuità dei genitori. Capita. Voglio dire: capita che ci si sposi e ci si stanchi, che ci si stanchi di sposarsi, che ci si accorga di aver sbagliato sposo e se ne sposi un altro. Siamo noi che non possiamo sceglierci loro, i nostri padri e le nostre madri, ma loro, fra loro, possono scegliersi e quindi licenziarsi vicendevolmente, scegliere da un’altra parte, e così via.”
Lidia Ravera

 

Due sorelle adolescenti, Angelica e Carlotta, vengono separate dal divorzio dei genitori. Una con la madre, l’altra con il padre in un’altra città. Si mancano, si accusano, si scrivono, si rincorrono per non perdersi. Perché le sorelle sono quelle che ti aiutano a misurare la strada, a comunicare con il resto del mondo in momenti di apparente o reale difficoltà, sono un complice o un ostacolo da spianare per diventare quello che sei, sono quel folletto che ti riprende quando sei smarrito, quel demone che implacabile ti spinge a fare i conti con te stesso e la vita.
Lidia Ravera disegna con linguaggio fresco, ironico e fortemente critico, come si addice alla sua penna, quel legame naturale eppure misterioso che unisce due esseri umani dalla nascita, collocandolo nella confusione esistenziale e sentimentale di un mondo sempre più segnato dalla mancanza di rapporti reali, e spingendoci inevitabilmente a indagare il nostro profondo e umano bisogno di “sorellanza”.

 

Il testo

Relazione importante e complicata, d’amore spietato e di crudeli conflitti, il rapporto fra sorelle è presente da sempre nella letteratura, nella poesia, nel mito, offrendo un ampio campo di indagine sui rapporti fra le donne di tutte le età. Nel caso di ”Sorelle” di  Lidia Ravera, volume pubblicato nei primi anni 90, ci siamo imbattute in un racconto, quello di “Sorelline”, ( ora ripubblicato in forma autonoma da Bompiani con lo stesso titolo dello spettacolo ), vibrante scambio di lettere di due anime adolescenti, diverse quanto basta ad essere complementari, a non riuscire ad esistere l’una senza l’altra. Come due naufraghi che si attaccano agli scogli, le due ragazze trovano una salvezza e una possibilità di crescita nel riconoscere il loro legame di sangue e di appartenenza, nel farne sigillo, scudo, rocca inespugnabile, forza di sopravvivenza. Un epistolario di formazione che affonda la scrittura nei drammi e negli entusiasmi di un’età dominata da contraddizioni, dubbi, idee geniali, paura del futuro e grandi aspettative.

Attenta osservatrice degli animi femminili e di quelli in trasformazione, Lidia Ravera ci offre dei ritratti precisi, senza mai perdere di vista il contesto storico e sociale in cui si muovono e con uno sguardo fortemente rivolto alla contemporaneità.

Angelica e Carlotta, due sveglie adolescenti degli anni 90, sono l’emblema ironico e divertente di un concetto di famiglia in disfacimento e portano dentro il desiderio e il tentativo di fondarne uno nuovo, alternativo, edificato sull’onestà reciproca e la verità dei sentimenti. Sono spietate, esigenti e crudeli con i genitori – figurine in panne attanagliate dalle problematiche emotive ed esistenziali di una coppia borghese di buona cultura – e nel vuoto familiare reclamano la loro vitale necessità: essere vicine, sentirsi una cosa sola.

Rileggendo e elaborando il romanzo della Ravera, abbiamo sentito quanto mai attuale la riflessione sulla famiglia come status necessariamente in movimento e trasformazione, così come avvertiamo la forza che può avere nel mondo d’oggi la riflessione sulla “sorellanza”, privilegio intimo e pubblico insieme, rapporto sentimentale ed etico, che appartiene al mondo femminile ma non in modo esclusivo, fondante di relazioni virtuose e trasformazioni sociali.

Cerchiamo dunque, consapevoli della fortuna di poter dialogare con una scrittrice vivente a noi complice, di dar vita ad una drammaturgia che contenga un possibile sguardo sulla confusione e lo smarrimento che feriscono come una maledizione il mondo dei rapporti umani e che, nell’alternanza di toni leggeri e brillanti con altri più densi e sostenuti, restituisca il nostro personale bisogno – che crediamo condivisibile – di nuove profondità e vicinanze nelle relazioni fra le persone di ogni età, genere e appartenenza.

 

Modalità dell’allestimento

“La somma di due” è il primo spettacolo che ci unisce in scena in qualità di interpreti e anche come autrici del progetto e dell’adattamento drammaturgico. Portiamo con noi esperienze e percorsi diversi e la medesima apertura e curiosità, che in questo contesto pensiamo possano essere preziose per affrontare in maniera complementare le problematiche dell’elaborazione di un linguaggio e della sua traduzione scenica.  In questo primo lavoro comune abbiamo deciso di puntare a un allestimento semplice ed essenziale, con pochi elementi scenici, in funzione di un lavoro d’attore che crei lo spazio con la quasi esclusiva complicità della luce e dell’ambiente sonoro. Vorremmo evocare in modo leggero e non didascalico il clima pop e un po’ acido dell’ultimo decennio del secolo scorso, ripercorrere atmosfere che noi stesse abbiamo vissuto da adolescenti, non seguendo un principio di immedesimazione realistica, ma puntando alla creazione di un legame con un passato recente che tuttavia già appartiene alla storia. Immaginiamo Angelica e Carlotta come possibili eroine di un fumetto epico contemporaneo, in cui possano riconoscersi sia gli adulti che i ragazzi di oggi.

La distanza e la vicinanza dei corpi in scena disegneranno le linee dell’assenza e della presenza, composte di lettere che si susseguono una dopo l’altra, di voci monologanti che si cercano, si perdono, si ritrovano. Un canto a due voci, a volte sovrapposte e a volte indipendenti l’una dall’altra, un passo di danza a due, con le figure della solitudine e dell’alleanza.

Marina Massironi e Nicoletta Fabbri

 

 

Una produzione PICKFORD – NIDODIRAGNO/CMC

 

MARINA MASSIRONI – NICOLETTA FABBRI

in

LA SOMMA DI DUE

Tratto dal romanzo omonimo di Lidia Ravera, ed.Bompiani

Adattamento di Marina Massironi e Nicoletta Fabbri

Regia di Elisabetta Ratti

 

Scene Maria Spazzi
Costumi  Narguess Hatami
Assistente alla regia Chiara Senesi
Assistente scenografa Francesca Guarnone
Tecnico di scena Martina Ciavatta
Distribuzione NIDODIRAGNO/CMC
Foto Marina Alessi
Realizzazione grafica Roberto Ballestracci per Studio 15>19 (????)
Si ringraziano:  Teatro CorTe Coriano, Teatro Petrella Longiano , Spazio LabArca Milano

 

 

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 Bakersfield

Due destini, due vicende umane lontanissime che si incontrano nello scenario di una America sempre percorsa da forti divari sociali: Maude, una cinquantenne barista disoccupata appare  donna ormai vinta dall’esistenza, ma nell’evidente disordine  della sua caotica roulotte è celato un possibile tesoro, un  presunto quadro di Jackson Pollock.

Il compito di Lionel, esperto d’arte di livello mondiale, volato da New York a Bakersfield,  è quello di fare l’expertise dell’opera che, in caso di autenticazione, potrebbe far cambiare completamente vita alla sua interlocutrice.

Il dialogo, brillante, ironico e profondo, a tratti toccante, che si svolge interamente tra le cianfrusaglie della casa-roulotte, marca molto le differenze tra i due, ma nel prosieguo dell’incontro succede che Maude si riveli assai meno sprovveduta di quanto appare e la posizione di Lionel appaia via via sempre più fragile in una sorta di ribaltamento di ruoli che conduce all’epilogo…

Ispirato da eventi veri, Le Verità di Bakersfield pone domande vitali e urgenti su ciò che rende l’arte e le persone veramente autentiche.  Marina Massironi e Giovanni Franzoni  lo interpretano magistralmente diretti dalla mano sapiente di Veronica Cruciani.

Le verità di Bakersfield, (titolo originale Bakersfield Mist), mai rappresentato in Italia, porta la firma di Stephen Sachs ed è stato portato in scena nei migliori teatri negli Stati Uniti (tra i quali Fountain Theatre di Los Angeles e Orlando Shakespeare Theatre) e tradotto in diverse lingue per diversi Paesi. Tra gli interpreti hanno dato volto ai protagonisti anche Kathleen Turner e Ian McDiarmid, nella tenitura di tre mesi al West End di Londra.

LE VERITÀ DI BAKERSFIELD

( Bakersfield Mist )

di Stephen Sachs
traduzione Massimiliano Farau

con Marina Massironi, Giovanni Franzoni
regia di Veronica Cruciani

produzione NIDODIRAGNO/CMC – PICKFORD

assistente alla regia Virginia Landi
scene e costumi Barbara Bessi/Narguess Hatami
light design Gianni Staropoli
drammaturgia sonora John Cascone/Marcello Gori
movimenti scenici Michaela Sapienza
foto Marina Alessi

si ringraziano:
LabArca – Milano
Spazio Tondelli – Riccione
Nicolò Ausili
Angelo Tumminelli – Prima International Company srl per aver concesso i diritti d’autore dell’opera ‘Bakersfield Mist’ di Stephen Sachs

 

 

 

 

 

 

Rosalyn Foto di scena
Dopo aver felicemente attraversato tre stagioni e moltissima Italia e aver raccolto ottimi consensi da critica e pubblico, “Rosalyn”, lo spettacolo scritto da Edoardo Erba e diretto da Serena Sinigaglia con Alessandra Faiella e Marina Massironi, si ferma. Ma ancora terrà il suo posto qui in homepage, perchè gli spettacoli voluti, sentiti, amati e protetti ne hanno diritto.
Nel corso della presentazione del suo libro a Toronto in Canada, Esther, una scrittrice americana, conosce Rosalyn, la donna delle pulizie della sala conferenze. Il libro insegna a liberare la vera natura del sé, e Rosalyn ne è ammirata e sconvolta. Vuole leggerlo subito, e si offre, il giorno dopo, di portare la scrittrice a vedere la città. Dopo la visita ritroviamo le due in un prato in periferia. Qui Rosalyn rivela ad Esther la storia del suo amore per un uomo bugiardo e perverso, che le infligge continue violenze fisiche e psicologiche. Lui ha famiglia e la relazione con Rosalyn è clandestina. La sera prima, quando lei è tornata in ritardo dal lavoro per aver seguito la conferenza della scrittrice, l’uomo infuriato l’ha picchiata e ferita…
Ricca di colpi di scena e sostenuta da una scrittura incalzante, Rosalyn è il ritratto della solitudine e dell’isolamento delle persone nella società americana contemporanea. E parla di quel grumo di violenza compressa e segreta pronta ad esplodere per mandare in frantumi le nostre fragili vite.
“Rosalyn è un thriller psicologico. Rosalyn ti disorienta. Rosalyn è quando pensi di aver capito tutto e invece no, non avevi capito niente. Rosalyn è un gioco di specchi. Rosalyn è comico, ma all’improvviso diventa tragico. E’un gioco beffardo, disperato e violento. Senza scampo. Rosalyn è una sfida, un quiz, un meccanismo che si inceppa e tutto precipita. Ciò che appare non è e ciò che è non appare.
Sono da sempre un’appassionata di gialli. Direi onnivora. Ho affrontato altre volte questo genere a teatro. Mi diverte, mi appassiona, mi soddisfa.
Tentare di creare un rebus che vive e pulsa sul palcoscenico e che la platea è chiamata a risolvere, è un lavoro che da sempre mi stimola. E’ una prova di intelligenza, è la cura di ogni dettaglio, è sapienza registica.
Non che mi riesca sempre bene, ma questo è un altro problema. Non ne nascono tanti di Hitchcock, temo che dovrete accontentarvi di me. Posso darvi la mia parola che, comunque vada, ce l’avrò messa tutta, e per fortuna non sono sola.
Marina e Alessandra sono due attrici straordinarie, capaci di assumersi l’onere di questa prova. Sanno creare grande empatia col pubblico e sanno allo stesso tempo spingersi nei meandri dei dettagli, nel cuore del mistero.
Edoardo è uno scrittore che sa rendere fluide e avvincenti le trame, credibili e forti i personaggi.
Insomma, signori, capite?, Rosalyn è il paese dei balocchi. Il mio personale paese dei balocchi. Altro non posso aggiungere, vogliate perdonarmi, ma sarebbe imperdonabile spoilerarvi anche solo un particolare di quanto accade in scena…prima regola del giallo…mantieni un misterioso contegno, un silenzio carico di suspense…shhh sta per cominciare…buio in sala…e che il mistero si compia.
Buon divertimento a tutti!”
(Serena Sinigaglia)
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Se a raccontarci l’Otello è Shakespeare, è una tragedia. Se ce la racconta Verdi in musica, è un melodramma. Se a raccontarla è un’attrice poliedrica come Marina Massironi, la fosca vicenda del Moro diventa un’esilarante cavalcata fra passioni e intrighi del Cinquecento e dell’Ottocento, con inaspettate e pungenti irruzioni nella stretta attualità. Un’ora e mezza di parole, musica, risate e pensieri per capire che alla domanda “Ma che razza di Otello?” c’è una sola risposta, quella di Albert Einstein: “Razza: umana”.

NOTE DI REGIA
Riscrivere storie già conosciute, incrociandole con fatti di cronaca più o meno recenti per riproporle come nuove e attuali, era la specialità di Shakespeare.
Forse è per questo che le sue opere sono le più rivisitate, fatte a pezzi, rielaborate e ricomposte negli stili più disparati, di tutta la letteratura teatrale. Una specie di legge del contrappasso. L’Otello, una delle più famose vicende shakespeariane, impressa nell’immaginario popolare come il ‘dramma della gelosia’, non poteva sfuggire a questo destino: diventare materia per l’opera musicale ottocentesca, sempre a caccia di trame dense di contrasti emotivi, dall’impatto immediato, e possibilmente con titoli di forte richiamo come imponeva la legge del botteghino.
Verdi e Boito si giocano bene gli ingredienti, e anche il loro Otello sarà un successo.
“Ma che razza di Otello?”di Lia Celi si inserisce quindi ‘di diritto’ in questo filone di riscritture, avvalendosi della narrazione per ripercorrere in modo ironico la storia di questa impresa verdiana, senza trascurare i modelli di Giraldi Cinthio e Shakespeare.
Il gioco della riscrittura mette in campo un inedito punto di vista al femminile rispetto alle eroine del melodramma e divertenti cortocircuiti con l’attualità.
La musica ripropone arie, recitativi e fantasie di temi, arrangiate da Augusto Vismara
per un trio di musicisti che evoca i colori dell’orchestra.
Compito della regia è stato quello di valorizzare il dialogo tra i diversi ingredienti espressivi, quelli musicali e quelli messi in campo dal testo: notizie storiche curiose, spunti d’attualità,riflessioni sulle dinamiche umane di cui il triangolo Otello-Iago-Desdemona si fa emblema, e che un’attrice dalla grazia sensibile come Marina Massironi restituisce al pubblico con umorismo sottile e spiazzante.”

MASSIMO NAVONE

 

Foto di scena di Nicoletta Simoncini – Locandina di Roberto Grassilli

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